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I dati della Commissione tecnica sul rischio clinico istituita dal Ministero della Salute confermano che in Italia si verificano ogni anno circa 320.000 morti a causa di errori ospedalieri, con una media giornaliera di circa 90 pazienti deceduti. Almeno il 50% dei decessi sarebbe evitabile. Il 70% degli eventi dannosi in materia è attribuibile a difetti organizzativi e carenze delle strutture, mentre il restante 30% è dovuto a cause umane (errori professionali). Le cause più diffuse sono il sovradosaggio di farmaci e lo scambio tra pazienti. Inoltre, circa 500.000 pazienti su 9.500.000 ricoverati l'anno sono vittima di una infezione contratta in nosocomio. Si stima che la mortalità per infezione ospedaliera sia compresa tra il 3% e il 5% dei pazienti ospedalizzati. Ma quali sono le principali cause della malasanità? In sintesi, e senza pretesa di esaustività, si possono indicare i seguenti fattori: negligenze / imperizie / imprudenze da parte di medici ed infermieri, talvolta nel corso di prestazioni (soprattutto diagnostiche) routinarie, senz'altro evitabili alla luce delle conoscenze scientifiche, delle linee guida e dei protocolli in vigore; le carenze organizzative delle strutture, che incidono sulla efficienza e sulla salubrità degli ambienti sanitari (cfr. infezioni nosocomiali), oppure sulla ripetizione di errori professionali (si pensi alla maggiore esposizione al rischio di sanitari costretti ad orari di lavoro eccessivamente onerosi); la mancata previsione di un sistema di gestione del rischio e, in alcuni casi, l'assenza di sanzioni efficaci per il personale inefficiente, assenteista o con tassi importanti di sinistrosità; i tagli continui alle risorse della sanità, sia quella pubblica sia quella convenzionata, con effetti negativi sui sistemi di prevenzione (risparmi sugli accertamenti diagnostici; strumentazione inefficiente od obsoleta; mancanza di formazione dei sanitari; carenza di personale; strutture fatiscenti; carenza di posti letto; ecc.); sprechi di denaro talvolta associati a fenomeni criminosi e, nei casi più gravi, al coinvolgimento di associazioni malavitose nel sistema sanitario; superficialità nella fase precedente alla somministrazione di prestazioni e trascuratezza nella informazione al paziente. Quali sono i settori più esposti al rischio di malasanità? Anestesia Decesso nel corso di anestesia negli interventi. Lesioni durante le intubazioni oro-tracheali. Chirurgia generale Aderenze post-operatorie. Clips mal posizionate. Emboli, tromboembolie per mancata terapia anticoagulante. Errata esecuzione di interventi chirurgici. Errato approccio terapeutico alla patologia con esecuzioni di interventi non necessari alla risoluzione del problema. Garze e ferri chirurgici dimenticati in corpo dopo gli interventi. Infezioni post-operatorie. Lesioni di nervi, vasi, organi adiacenti, durante interventi chirurgici. Mancata diagnosi di patologie. Mancata informazione o mancata acquisizione del consenso informato. Mancata risoluzione del problema per il quale è stato programmato l’intervento. Rottura di denti o protesi durante l'intubazione. Scarsa assistenza nel post-operatorio. Suture (abnormi, tolte troppo precocemente). Chirurgia estetica Aumento labbra: Eccesso di volume, errore di proiezione, asimmetria. Blefaroplastica: asimmetria, correzione eccessiva o insufficiente o cicatrici troppo evidenti. Lifting: cicatrici grossolane, eccessiva o insufficiente tensione cutanea e presenza di asimmetrie. Liposcultura: avvallamenti, asimmetrie, caduta di tessuti (per l'eccessivo svuotamento) e buchi. Rinoplastica: piccolo avvallamento, irregolarità nella superficie o piccola asimmetria. Risultato difforme da quello prospettato. Trapianto capelli: attaccatura innaturale, trapianto cd. "a ciuffi di bambola", con reimpianto dei capelli a ciuffetti anziché singolarmente. Ginecologia e ostetricia Danni alla madre durante il parto. Diagnosi errate per malattie ginecologiche. Distocia della spalla. Errate terapie per la cura della infertilità. Erronea diagnosi prenatale. Fratture della clavicola. Ipossia del bambino al momento del parto. Lesioni del plesso brachiale. Mancata effettuazione di manovre rianimatorie sul bambino. Mancata diagnosi di malformazioni fetali durante l'esecuzione di ecografie in epoca prenatale in tempo utile per effettuare l'interruzione di gravidanza. Mancata diagnosi di tumori dell'apparato genitale femminile. Omessa Diagnosi di malformazione del feto, con conseguente nascita indesiderata. Perdita del feto per amniocentesi o villocentesi. Prescrizione di terapie senza adeguati controlli. Ritardo nell'esecuzione di parto cesareo. Ritardo nell'espletamento del parto con morte del neonato. Uso di ventosa e di forcipe e relative lesioni. Oculistica Infezioni durante l'esecuzione di interventi. Errata esecuzione di interventi di cataratta e di correzione laser della miopia. Errata esecuzione di iniezioni intravitreali. Omessa prescrizione di controlli in fase post-operatoria. Odontoiatria Frattura delle radici per perni moncone mal eseguiti. Infezioni a seguito di cure canalari (devitalizzazione). Infiltrazioni cariose e problemi gengivali per errata esecuzione di corone in ceramica. Mancata esecuzione di esami preliminari. Recidive cariose o infiammazioni per errate otturazioni. Oncologia Interventi eccessivamente demolitivi rispetto alla diagnosi. Interventi incompleti, che rendono necessari nuovi interventi chirurgici. Perdita di chance di guarigione o di sopravvivenza per omessa o ritardata diagnosi. Prescrizione di accertamenti non idonei. Radio e chemioterapia effettuata con ritardo o in dosi non adatte. Ritardo nella diagnosi o nell'esecuzione delle terapie di trattamento. Ortopedia Errata esecuzione di interventi chirurgici per la sintesi delle fratture. Infezioni ed emorragie post-operatorie. Inserimento di protesi di dimensioni errate. Lesioni alle terminazioni nervose o al nervo motorio durante le operazioni all'ernia del disco. Lesioni al midollo spinale dovute alla non immobilizzazione della colonna vertebrale dopo una caduta. Mancata esecuzione di indagini o esami preliminari. Mancato recupero della gamba per un intervento errato sui legamenti. Mancato riconoscimento di fratture. Presenza di infezioni nosocomiali dovute alla mancata sterilizzazione dei ferri di sala operatoria o scarsa igiene delle sale. Sei stato vittima di malasanità oppure lo è stato un tuo parente?

STATISTICHE MINISTERO DELLA SALUTE

Gli errori medici non sono solo semplici sviste, ma rappresentano tante volte la causa di danni fisici e morali gravi, fino al caso estremo di mortalità. Diamo un’occhiata ai dati riguardanti responsabilità medica e responsabilità infermieristica in ospedali e policlinici italiani. Da quanto calcolato dalla Commissione Tecnica sul Rischio Clinico del Ministero della Salute, gli errori medici vengono effettuati secondo le seguenti percentuali: Sala operatoria: 32% Reparti di degenza: 28% Dipartimento d' urgenza: 22% Ambulatorio: 18% Ortopedia e Traumatologia: 16,5% Oncologia: 13% Ostetricia e Ginecologia: 10,8% Chirurgia generale: 10,6%. Questi dunque rappresentano i reparti e le specializzazioni mediche più a rischio nel settore malasanità in Italia. I casi di morte per malasanità risultano oltre 35 mila all'anno.

CONSENSO INFORMATO

E’ ormai principi consolidato che il medico non possa più intervenire sul paziente senza averne prima ricevuto il consenso. Il consenso al trattamento sanitario è pertanto condizione senza la quale l’attività sanitaria non può considerarsi legittima. Orbene, l’attività medica è prevalentemente l’oggetto di un rapporto contrattuale in cui il medico, per non incorrere in responsabilità, deve ottemperare a delle specifiche obbligazioni negoziali che sono essenzialmente due: - acquisire il consenso del paziente avendolo preventivamente informato ai sensi degli artt. 35 e 33 del codice deontologico; - eseguire una prestazione professionalmente corretta e diligente ai sensi degli artt. 1176 e 2236 del c.c. Regola vuole, quindi, che ciascun paziente sia fornito di tutte le informazioni utili e necessarie perché possa scegliere consapevolmente. Il dovere di acquisire il consenso informato da parte del medico sussiste non solo in relazione alla necessità di intraprendere interventi demolitivi e complessi ma anche in relazione ad ogni attività medica che possa comportare un qualsiasi margine di rischio. Il medico quindi ha il dovere di acquisire il consenso sia quando intende compiere attività chirurgica sia quando intende compiere semplici esami diagnostici e strumentali. Eccezioni al criterio generale dell’acquisizione necessaria del consenso informato prima di un trattamento medico sono configurabili solo nel caso di trattamenti obbligatori ex lege, ovvero nel caso in cui il paziente non sia in condizioni di prestare il proprio consenso o si rifiuti di prestarlo e d’altra parte l’intervento medico risulta urgente ed indifferibile al fine di salvarlo dalla morte o da un grave pregiudizio alla salute Ma quali sono i requisiti di validità del consenso informato? Affinchè il consenso informato sia valido è necessario, in primo luogo, che sia manifestato in modo esplicito ed inequivocabile così che il sanitario prima di dare avvio a qualsiasi trattamento terapeutico possa chiaramente percepirlo. Si precisa che il consenso può essere anche prestato oralmente. Infatti, la forma scritta viene richiesta solo nei casi espressamente richiesti dalla legge e nei casi in cui per la particolarità delle prestazioni diagnostiche e terapeutiche o per le possibili conseguenze delle stesse sull’integrità fisica si renda opportuna una manifestazione documentata della volontà della persona. Essendo però il consenso una condizione di liceità della prestazione medica, è bene sottolineare che il sanitario ha il dovere di accertare scrupolosamente ed attentamente la volontà dell’assistito, non essendo sufficiente una manifestazione di tacito assenso che potrebbe essere fonte di fraintendimenti. Spesso negli ospedali esiste la pratica di far sottoscrivere appositi moduli al paziente in cui viene specificata e resa chiara l’attività medico-sanitaria che ci si accinge a compiere e in cui vengono indicate tutte le caratteristiche e gli eventuali rischi ad essa connesse; tale prassi è di certo condivisibile, purchè però non si riduca ad un mero atto di stile, burocratico e formale, senza che il paziente capisca davvero ciò a cui sta andando incontro. Infatti, a tal riguardo si fa notare che l’art. 33 del codice deontologico è molto chiaro sul punto: “ il medico dovrà comunicare che il soggetto tenendo conto delle sue capacità di comprensione, al fine di promuoverne la massima partecipazione alle scelte decisionali e l’adesione alle proposte diagnostico-terapeutiche”. In altri termini la conformità della condotta dei sanitari rispetto all’obbligo di garantire un adeguato bagaglio di informazioni, deve essere valutata non tanto sul piano tecnico-operativo, quanto sulla natura dell’intervento, sull’esistenza di alternative praticabili, anche di tipo non cruento, sui rischi correlati e sulle possibili complicazioni delle possibili tipologie di cura tali da compromettere il quadro complessivo del paziente. Ciò significa anche che i requisiti di validità del consenso non sono soddisfatti quando le informazioni inerenti il tipo di trattamento medico e le sue implicazioni sono state nascoste o date in modo incompleto e quando vengono fornite assicurazioni sbagliate in ordine all’assenza di rischi o complicazioni derivanti da un intervento chirurgico necessariamente da eseguire, visto che l’inadempimento contrattuale si estende anche alle informazioni non veritiere. Il consenso deve essere necessariamente prestato dalla persona che verrà sottoposta a terapia e pertanto solo e soltanto dal paziente. Esistono tuttavia delle eccezioni a tale regola. Ad esempio nel caso di paziente minore di età, affetto da disturbo mentale o che versa in condizioni tali da non poter essere interpellato. Nel primo caso il consenso viene dato da chi esercita la paria potestà o dal tutore. Nel secondo caso, il medico può procedere alla terapia con il consenso del tutore. Nel terzo caso, ossia quando il paziente pur essendo un soggetto capace, versa in una situazione tale da non poter essere interpellato, il medico, prescindendo dalla volontà dei parenti, può agire purchè giustificato dallo stato di necessità ai sensi dell’art. 54 del codice penale. Molto importante è la circostanza secondo la quale il consenso deve essere immune da vizi quali dolo, violenza ed errore. Non sarebbe ad esempio assolutamente valido un consenso prestato dal malato che sia stato ingannato come nel caso del medico che induca il paziente ad un intervento del tutto inutile prospettandogli falsamente immaginari pericoli per la salute. Oppure anche il caso in cui il sanitario, per sua colpa, genera confusione nel paziente non fornendogli le necessarie informazioni ed i necessari chiarimenti. Prestare il consenso poi non significa prestarlo una tantum e solo all’inizio della terapia: esso deve essere continuato, ossia richiesto e riformulato per ogni singolo atto terapeutico o diagnostico che sia in grado di cagionare autonomi rischi. Si pensi ad esempio ad un intervento di chirurgia estetica in cui l’operazione si estrinseca in varie fasi spesso cronologicamente distinte l’una dall’altra: per ognuna di esse infatti sarà necessario un costante aggiornamento ed un ripetuto consenso del paziente. Quindi, ogni intervento terapeutico può considerarsi formato da tante piccole sottofasi, autonome e distinte, rispetto alle quali il consenso va rinnovato volta per volta. Ma chi deve acquisire realmente il consenso informato? Regola vuole che ad acquisire il consenso sia il sanitario che esegue personalmente l’attività medica. Ma cosa accade quando al trattamento terapeutico partecipano più professionisti ? In tal caso le soluzioni sono due: - quando l’intervento è di elevata difficoltà e a eseguirlo è un èquipe, dovrà provvedere il “sanitario responsabile” o “capo” di quest’ultima, in quanto dotato di poteri-doveri di coordinamento, direzione e sorveglianza; - quando, invece, l’intervento viene effettuato in ambito ospedaliero, o in strutture in cui si avvicendano nel rapporto con il paziente vari medici, l’obbligo di acquisizione del consenso, anche se rimane in capo al primario, può essere delegato ad altri medici, purchè sempre nel rispetto dell’ordine gerarchico della struttura in cui si opera. Ma cosa succede se il medico che ha provveduto ad acquisire il consenso viene di fatto sostituito da un collega nell’intervento? Orbene, nella realtà ospedaliera, il paziente che presta il consenso per un dato trattamento ad un certo sanitario, sa bene che lo stesso varrà implicitamente anche nei riguardi degli altri medici che si trovano ad operare in quella stessa struttura. Quindi in tal caso il paziente è comunque tutelato purchè però ad intervenire sia un medico dotato della stessa specializzazione e capacità di quello a cui aveva prestato il consenso.